- 08/03/2010 khloé
Arriva dopo giorni lunghissimi e gelidi il 24 febbraio e finalmente si parte alla volta di Biyadoo!
Il nostro volo Emirates da Venezia a Dubai ci aspetta puntuale e, già al momento del check-in, si inizia a notare la differenza rispetto alle solite compagnie dei voli charter… infiliamo i giubbini nel bagaglio da imbarcare, iniziamo ad alleggerirci del peso dell’inverno. Gli addetti del check-in sono tutti gentilissimi, ma con una punta d’invidia quando incollano l’etichetta al bagaglio con destinazione finale Male! E li capisco, sarei invidiosa anch’io.
Mangiamo qualcosa a Venezia, ci imbarchiamo sull’Airbus per Dubai, al controllo passaporti neanche ce lo fanno aprire (“Per Dubai? Prego passate!” – bollo sprecato, penso…) e siamo pronti alla partenza. L’aereo è semivuoto, occupiamo in due 4 posti e partiamo alla volta di Dubai. Il viaggio in economy class è molto confortevole, si pranza e poi un riposino. Ricordiamo il volo di novembre scorso per New York con Alitalia e, sinceramente, non c’è paragone, da tutti i punti di vista! Anche per la conoscenza delle lingue dell’equipaggio, penso io – deformazione professionale. Mio marito dice anche per la bellezza delle hostess… ma lasciamo perdere.
Si arriva a Dubai, ci godiamo il panorama notturno della città dall’oblò, e ci troviamo immersi in un tourbillon di umanità di tutti i colori: ora locale circa mezzanotte, ma sembra un qualsiasi aeroporto all’ora di punta. Ci imbattiamo immediatamente nella mucca lilla della famosa cioccolata a grandezza naturale. Boris (mio marito) mi chiede: ma che ci fa una mucca lilla qui? Gli ricordo che siamo ormai globalizzati e in questo inno alla globalizzazione che è l’aeroporto di Dubai, ci “globalizziamo” tra le grandi firme, la ricerca di una custodia impermeabile per la macchina fotografica (che non troviamo) e i corsi in dvd di SARDINIAN LANGUAGE (GULP!) che un solerte addetto ci fa testare (provo a spiegargli il fatto che il sardo ha diverse varianti, delle influenze galloromanze, ma non mi segue…).
Dopo un riposino sulle chaises-longues (che invenzione: poter allungare le gambe in aeroporto! Ma nessuno ha pensato di metterle per legge in tutti gli aeroporti?) arrivano le 3 di notte e ci imbarchiamo per Male: l’aereo è un po’ più pieno, ma si sta sempre comodi, nonostante siamo in economy. Unico difetto: ci servono immediatamente la colazione (sono le 4 del mattino, ora locale, per noi l’una di notte) ma dopo si dorme fino all’arrivo. Un po’ prima di atterrare, le Maldive danno già il meglio di sé: dall’oblò perle di bianco e verde immerse nel blu, un blu dalle sfumature che chiamare verde acqua, blu oltremare, turchese è poca cosa, aprono il cuore e ci fanno pregustare il luogo incantato verso cui siamo diretti.
Atterriamo, controllo passaporti abbastanza rapido, usciamo dall’aeroporto e siamo subito avvolti dal sole e da una bolla di calore che ci crea il disagio piacevole di iniziare ad “avere caldo”. Aspettiamo una mezz’ora con un gruppo di francesi che, pare, siano diretti come noi a Biyadoo, compriamo una bottiglietta d’acqua (gran “classe” nella gestione delle entrate da parte della commessa: 3 dollari, cede uno al responsabile che lo mette nel registratore di cassa e due se li mette in tasca). Saliamo in barca e l’acqua di quello che dovrebbe essere una sorta di porto e, pertanto, per antonomasia, maleodorante, torbida, oscura, è qui una piscina da hotel 5 stelle… mi sa che siamo nel posto giusto, penso…
A circa metà del piacevole trasferimento in barca, sotto il sole delle 9 del mattino, già bollente, si spengono i motori perché è il momento dei delfini: si avvicinano 10-15 delfini, grandi e piccoli, che ci danno il benvenuto! Salti, volteggi, bruschi tuffi e allegri balzi verso il cielo. Sembrano dirci: benvenuti alle Maldive! Dimentichiamo di essere stanchi del viaggio, ci passa il caldo, ci passa la sete: nonostante abbia avuto davanti ai miei occhi un planisfero per quasi tutto il volo e sappia bene dove siamo, per la prima volta mi torna in mente il mio mappamondo luminoso di quando ero bambina, lo faccio girare fino all’India, torno un po’ indietro. Siamo qui, nel cuore dell’Oceano Indiano, con una corona di delfini a festeggiarci. Il rispetto, è la prima parola che mi viene in mente, seguito dalla gioia che solo i bambini sanno provare quando i delfini sembrano essere lì solo per loro.
E finalmente siamo arrivati, motore spento, Biyadoo. L’abbiamo già vista in foto, immaginata dai racconti, ma in tutti questi “mezzi di comunicazione” mancano gli odori, manca il tatto, mancano i suoni: siamo investiti da un’ondata di gelsomino profumato, dalla calda brezza che ci accompagnerà per tutto il soggiorno e dal suono ritmato delle onde del mare.
OVERBOOKING: Ci attende una ragazza svizzera, dedita alla prima accoglienza: forse la guardo circospetta, mi dice subito “No panic” e lì intuisco che forse è il caso di avere un po’ di timore. Infatti, viene per prima a sedersi accanto a noi, lascia perdere i francesi nostri compagni di transfer, mi chiede in che lingua preferiamo parlare, le dico che è indifferente e lei sceglie di parlare in inglese. Ci dice che il villaggio è in overbooking, che per stanotte dobbiamo dormire in un bungalow vicino al centro degli sport acquatici (cerco di ricordarmi la piantina di Biyadoo per capire dove ci spedisce) e che dall’indomani sarebbe stata disponibile una stanza nel lato est. Sa benissimo che avevamo chiesto una stanza sul lato ovest, ma che quella stanza si libererà appena 3 giorni dopo: quindi, it’s up to you, scegliete: o una notte nel bunker e poi lato est, oppure 3 notti nel bunker e poi lato ovest. Prendiamo tempo, diciamo che ci pensiamo. Ci dice che, per il disagio, ci offrono una bottiglia di vino e un cesto di frutta in camera e che ci offrono una cena romantica sulla spiaggia con menu a nostra scelta durante il soggiorno. Si vogliono far perdonare. Ci dice anche che, se è un problema, possiamo contattare il nostro responsabile a Male e sistemare con lui… ma cosa sistemiamo? Se la stanza non c’è, non c’è, non si crea con una telefonata. Insomma, decidiamo che abbiamo dormito in topaie già in passato e che non ci facciamo rovinare la vacanza per questo disguido. Proviamo a vedere com’è il bunker e poi decidiamo. Il bunker non è poi così male. E’ un po’ peggio delle stanze normali che vedremo giorni dopo, non c’è il phon (ce lo procurano subito) e non ci sono grandi finestre per la luce.
Doccia, costume, occhiali, crema protettiva e siamo in spiaggia, atterrati alle 8.30, sono le 11. L’isola è lussureggiante, avvolta dal profumo del frangipane, del gelsomino e dai colori dell’ibisco. Ogni tanto cade un cocco, una larga foglia; nella sabbia (e, a volte, anche in camera) brulicano granchietti, paguri, formiche giganti, lucertoline e lucertolone.
I colori del mare ci rapiscono; la prima cosa che penso è: ci mettono il colorante, non può essere il vero colore! Non provo neanche a descrivere le tonalità, perché i termini sminuirebbero la bellezza di quello specchio d’acqua. La sabbia è morbida, delicata, bianchissima. Siamo nel posto giusto. Palme e alberi imponenti ci fanno da ombrellone, non c’è neanche il ricordo dell’inquinamento, regna il silenzio, siamo a pochi metri da aironi, squaletti di barriera, anche due gattini bianchi deliziosi, al tramonto volteggiano i pipistrelli e penso che sia un mondo davvero meraviglioso. Questi animali sembrano mettersi in posa per le migliaia di foto che ogni anno tanti come noi porteranno a casa come ricordo, per nulla spaventati dalla presenza amica dell’uomo. Ma siamo ancora sopra l’acqua.
Come aveva scritto il compare di Laurina, qui il sole dà il meglio di sé: ci impomatiamo per benino, ma qualche piccolo angolo di scottatura ce l’abbiamo anche noi. Nei giorni a seguire la nostra vita scorrerà lenta e senza orologio tra lettura, riposo, bagni di mare e di sole, tramonti e contatto con la natura, fino a farci dimenticare il nostro mondo, il lavoro, i problemi e, non ultimi, scarpe chiuse e calzini :-). Boris, da bravo nuotatore, si allena circumnavigando l’isola, io passeggio con lo squaletto di barriera che mi scorta lungo il lato ovest dell’isola; un giorno, al tramonto, si spiaggia un tonnetto, ingordo, inseguendo i pescetti da frittura che sostano lungo la riva; un’ardimentosa ospite romagnola l’ha preso e rimesso in acqua con grande emozione di tutti. Ho fatto lo stesso anch’io diverse volte, con i pesciolini di cui sopra, che saltavano verso il bagnasciuga dopo l’incursione di un tonno o di uno squaletto, fino a non riuscire a tornare in acqua. Li ho spinti delicatamente fino all’acqua, anche se continuo a pensare che siano adattissimi alla frittura...
Il sole ci ha accompagnati per 8 giorni di fila, insieme ad una brezza leggera. Di notte, per 5 giorni, la luna piena illuminava a giorno spiaggia e mare, mentre gli ultimi 2 giorni ha lasciato il posto ad un cielo stellato illimitato e inafferrabile.
Intanto la receptionist svizzera ci segue da lontano: forse temeva che prima o poi ci saremmo rivoltati per la sistemazione che, effettivamente, li ha salvati da un bel pasticcio; ci chiede se va bene la stanza in cui siamo, decidiamo di restarci per tre notti e di aspettare che si liberi una stanza sul lato ovest. Parlando con degli ospiti romagnoli, che avevano fatto una crociera e poi qualche giorno di relax a Biyadoo, veniamo a sapere che anche a loro e a tutti gli altri partecipanti alla crociera destinati a Biyadoo era stato proposto di cambiare isola per un altro resort 4 stelle e che tanti turisti avevano accettato, mentre loro avevano insistito per Biyadoo. Capiamo, insomma, che accettando la sistemazione nel bunker, li abbiamo salvati da un bel guaio con l’overbooking…
La receptionist ribadisce che non vedono l’ora di offrirci una cena a lume di candela sulla spiaggia, di prenotarla quando vogliamo e che hanno anche pensato di offrirci una escursione a nostra scelta, sempre per il disagio. Noi avevamo già scritto il nostro nome sulla lista dei partecipanti al picnic sull’isola deserta, ma purtroppo non si è mai raggiunto il numero minimo di partecipanti e non ci siamo andati. Inoltre, la receptionist vuole capire le nostre intenzioni per la partenza e ci prospetta la possibilità di partire alle 11 di sera per l’ultimo giorno, visto che abbiamo l’aereo alle 2 di notte, se il tempo lo permette. Bella notizia: per noi vuol dire una giornata intera di paradiso in più!
Quanto alla cena, è stata carina, luna piena, il vino non era un granché, ma l’aragosta era deliziosa.
SNORKELING: prendiamo l’attrezzatura e partiamo per un primo snorkeling mattutino il secondo giorno. La barriera ci trova arrendevoli davanti alle sue bellezze e ci contagia la maldivite in modo irrimediabile. Seguiamo le istruzioni – perfette – di Paolo, compare di Laurina, nostro nume tutelare, e ci dedichiamo ad uno spettacolo degno dei migliori documentari e del mondo di Nemo. A volte chiudo gli occhi e li riapro all’improvviso per farmi sorprendere come fosse la prima volta dal fascino di questo mondo “subacqueo”, si fa per dire, perché siamo a pelo d’acqua, in acque in cui anche un bambino potrebbe partecipare a questa battuta di snorkeling.
Mi sembra una sfilata di moda: si va dal classico grigio dei pesci unicorno (uno di essi ogni volta mi si affianca e sembra scortarmi per metri e metri nel fantastico mondo di Nemo), all’intramontabile nero bordato di bianco di elegantissimi pesciolini balestra, ai colori moda viola e giallo dei pesci chirurgo, poi si torna al bianco e nero puntato di giallo con il pesce pagliaccio di Clark e, con gli stessi colori, al musetto altezzoso dei pesci farfalla filamentosi e dell’idolo moresco – i nomi li scopro adesso, dal sito, lì per lì io e Boris li chiamavamo con nomi di fantasia per capirci – spuntavano tenerissimi i piccoli pesci clown come Nemo, ogni tanto appare un pesce balestra pagliaccio, più imponente, con il suo stile animalier. Vediamo che il giallo è di gran moda, accecante nella sua versione del pesce farfalla di Bennett, del pesce farfalla dalla lacrima, del pesce farfalla a muso lungo. Va molto anche lo stile optical del grugnitore orientale: bianco, nero e giallo e i colori del pesce angelo orientale, decisamente più estivi e vivaci.
Infatti non dimentichiamo che è estate, qui, e con i suoi mille colori flash i pesci pappagallo e i tordi, grandi e piccoli, punteggiano la barriera e, se trattieni il respiro, senti anche che la rosicchiano con i dentini (-ini???)… se ti prendono…
Poi la barriera cede il passo al blu dipinto di blu. Un blu mai visto prima, né in natura, né prodotto dalla chimica. Compare anche una murena, scura, viola e marrone, un metro, un metro e mezzo, sul fondo, e schiere e schiere di tonnetti dalle sfumature fosforescenti, tanti pesci unicorno, una stella marina piccola e rossa, poi frotte di decine e decine di pesci chirurgo pentastriato (giallo pallido e nero): ma c’è una festa? Sono tantissimi! Come le indossatrici, alcuni sembrano sorriderti, altri ti guardano indifferenti e ti evitano. E’ uno spettacolo. Decidiamo che dobbiamo procurarci una macchina fotografica subacquea per i giorni seguenti. Per curare la maldivite quando saremo in Europa.
Nel ritornare a riva, gli ultimi pesciolini a strisce bianche e nere ti annunciano che la barriera è alle tue spalle, tra un po’ puoi togliere le pinne e tornare al sole.
CIBO: Ovviamente non si mangia come in Italia, ma non siamo morti di fame, anzi. Ci sono sempre insalate miste già pronte e componibili, riso basmati bianco e condito in vario modo, pesce – solo tonno - e carne – pollo, in genere - pasta (non assaggiata), contorni di verdura cotta, frutta (mi aspettavo di meglio, invece solo ananas, anguria, mele, arance) e dolci molto buoni. Direi che la cosa più buona, per una golosa come me, sono stati i dolci. Sono molto bravi a fare i dolci della tradizione anglosassone e, in generale, abbiamo sempre concluso i nostri pasti con un dolcetto. Insomma, è tutto un po’ speziato, ma si mangia bene. Ogni tanto, con un piccolo supplemento, è possibile mangiare una grigliata di pesce.
CAMERE: tralascio la descrizione della prima stanza di ripiego; al terzo giorno ci trasferiscono nella stanza 70, piano terra, lato laguna. Ha un leggero odore di muffa, è vero, meriterebbe una ristrutturazione, ma per il tempo che abbiamo trascorso in camera è stato un particolare trascurabile.
I giorni passano lenti e veloci al tempo stesso: arriva il penultimo giorno e ci comunicano che partiremo alle 11 di sera alla volta di Male e che ci lasciano la stanza fino all’ultimo, senza supplementi (si sentono ancora in colpa per l’overbooking…).
E’ il 4 marzo: ci rimettiamo le scarpe chiuse, i piedi si ribellano, il nostro cuore anche. Alle 11 di sera salpiamo alla volta di Male per tornare a casa, sotto le luci del molo e i pesci nel loro solito festino notturno al dock night club. Torniamo a casa… Ma la nostra casa, per 8 giorni, è stata Biyadoo. E ci lasciamo un pezzo di cuore. Non so se ci torneremo, perché in genere non torniamo mai due volte nello stesso luogo, c’è tanto mondo da vedere… Tuttavia, abbiamo lasciato una lacrimuccia in quel mare, spero di andarla a riprendere un giorno.
Il nostro volo Emirates da Venezia a Dubai ci aspetta puntuale e, già al momento del check-in, si inizia a notare la differenza rispetto alle solite compagnie dei voli charter… infiliamo i giubbini nel bagaglio da imbarcare, iniziamo ad alleggerirci del peso dell’inverno. Gli addetti del check-in sono tutti gentilissimi, ma con una punta d’invidia quando incollano l’etichetta al bagaglio con destinazione finale Male! E li capisco, sarei invidiosa anch’io.
Mangiamo qualcosa a Venezia, ci imbarchiamo sull’Airbus per Dubai, al controllo passaporti neanche ce lo fanno aprire (“Per Dubai? Prego passate!” – bollo sprecato, penso…) e siamo pronti alla partenza. L’aereo è semivuoto, occupiamo in due 4 posti e partiamo alla volta di Dubai. Il viaggio in economy class è molto confortevole, si pranza e poi un riposino. Ricordiamo il volo di novembre scorso per New York con Alitalia e, sinceramente, non c’è paragone, da tutti i punti di vista! Anche per la conoscenza delle lingue dell’equipaggio, penso io – deformazione professionale. Mio marito dice anche per la bellezza delle hostess… ma lasciamo perdere.
Si arriva a Dubai, ci godiamo il panorama notturno della città dall’oblò, e ci troviamo immersi in un tourbillon di umanità di tutti i colori: ora locale circa mezzanotte, ma sembra un qualsiasi aeroporto all’ora di punta. Ci imbattiamo immediatamente nella mucca lilla della famosa cioccolata a grandezza naturale. Boris (mio marito) mi chiede: ma che ci fa una mucca lilla qui? Gli ricordo che siamo ormai globalizzati e in questo inno alla globalizzazione che è l’aeroporto di Dubai, ci “globalizziamo” tra le grandi firme, la ricerca di una custodia impermeabile per la macchina fotografica (che non troviamo) e i corsi in dvd di SARDINIAN LANGUAGE (GULP!) che un solerte addetto ci fa testare (provo a spiegargli il fatto che il sardo ha diverse varianti, delle influenze galloromanze, ma non mi segue…).
Dopo un riposino sulle chaises-longues (che invenzione: poter allungare le gambe in aeroporto! Ma nessuno ha pensato di metterle per legge in tutti gli aeroporti?) arrivano le 3 di notte e ci imbarchiamo per Male: l’aereo è un po’ più pieno, ma si sta sempre comodi, nonostante siamo in economy. Unico difetto: ci servono immediatamente la colazione (sono le 4 del mattino, ora locale, per noi l’una di notte) ma dopo si dorme fino all’arrivo. Un po’ prima di atterrare, le Maldive danno già il meglio di sé: dall’oblò perle di bianco e verde immerse nel blu, un blu dalle sfumature che chiamare verde acqua, blu oltremare, turchese è poca cosa, aprono il cuore e ci fanno pregustare il luogo incantato verso cui siamo diretti.
Atterriamo, controllo passaporti abbastanza rapido, usciamo dall’aeroporto e siamo subito avvolti dal sole e da una bolla di calore che ci crea il disagio piacevole di iniziare ad “avere caldo”. Aspettiamo una mezz’ora con un gruppo di francesi che, pare, siano diretti come noi a Biyadoo, compriamo una bottiglietta d’acqua (gran “classe” nella gestione delle entrate da parte della commessa: 3 dollari, cede uno al responsabile che lo mette nel registratore di cassa e due se li mette in tasca). Saliamo in barca e l’acqua di quello che dovrebbe essere una sorta di porto e, pertanto, per antonomasia, maleodorante, torbida, oscura, è qui una piscina da hotel 5 stelle… mi sa che siamo nel posto giusto, penso…
A circa metà del piacevole trasferimento in barca, sotto il sole delle 9 del mattino, già bollente, si spengono i motori perché è il momento dei delfini: si avvicinano 10-15 delfini, grandi e piccoli, che ci danno il benvenuto! Salti, volteggi, bruschi tuffi e allegri balzi verso il cielo. Sembrano dirci: benvenuti alle Maldive! Dimentichiamo di essere stanchi del viaggio, ci passa il caldo, ci passa la sete: nonostante abbia avuto davanti ai miei occhi un planisfero per quasi tutto il volo e sappia bene dove siamo, per la prima volta mi torna in mente il mio mappamondo luminoso di quando ero bambina, lo faccio girare fino all’India, torno un po’ indietro. Siamo qui, nel cuore dell’Oceano Indiano, con una corona di delfini a festeggiarci. Il rispetto, è la prima parola che mi viene in mente, seguito dalla gioia che solo i bambini sanno provare quando i delfini sembrano essere lì solo per loro.
E finalmente siamo arrivati, motore spento, Biyadoo. L’abbiamo già vista in foto, immaginata dai racconti, ma in tutti questi “mezzi di comunicazione” mancano gli odori, manca il tatto, mancano i suoni: siamo investiti da un’ondata di gelsomino profumato, dalla calda brezza che ci accompagnerà per tutto il soggiorno e dal suono ritmato delle onde del mare.
OVERBOOKING: Ci attende una ragazza svizzera, dedita alla prima accoglienza: forse la guardo circospetta, mi dice subito “No panic” e lì intuisco che forse è il caso di avere un po’ di timore. Infatti, viene per prima a sedersi accanto a noi, lascia perdere i francesi nostri compagni di transfer, mi chiede in che lingua preferiamo parlare, le dico che è indifferente e lei sceglie di parlare in inglese. Ci dice che il villaggio è in overbooking, che per stanotte dobbiamo dormire in un bungalow vicino al centro degli sport acquatici (cerco di ricordarmi la piantina di Biyadoo per capire dove ci spedisce) e che dall’indomani sarebbe stata disponibile una stanza nel lato est. Sa benissimo che avevamo chiesto una stanza sul lato ovest, ma che quella stanza si libererà appena 3 giorni dopo: quindi, it’s up to you, scegliete: o una notte nel bunker e poi lato est, oppure 3 notti nel bunker e poi lato ovest. Prendiamo tempo, diciamo che ci pensiamo. Ci dice che, per il disagio, ci offrono una bottiglia di vino e un cesto di frutta in camera e che ci offrono una cena romantica sulla spiaggia con menu a nostra scelta durante il soggiorno. Si vogliono far perdonare. Ci dice anche che, se è un problema, possiamo contattare il nostro responsabile a Male e sistemare con lui… ma cosa sistemiamo? Se la stanza non c’è, non c’è, non si crea con una telefonata. Insomma, decidiamo che abbiamo dormito in topaie già in passato e che non ci facciamo rovinare la vacanza per questo disguido. Proviamo a vedere com’è il bunker e poi decidiamo. Il bunker non è poi così male. E’ un po’ peggio delle stanze normali che vedremo giorni dopo, non c’è il phon (ce lo procurano subito) e non ci sono grandi finestre per la luce.
Doccia, costume, occhiali, crema protettiva e siamo in spiaggia, atterrati alle 8.30, sono le 11. L’isola è lussureggiante, avvolta dal profumo del frangipane, del gelsomino e dai colori dell’ibisco. Ogni tanto cade un cocco, una larga foglia; nella sabbia (e, a volte, anche in camera) brulicano granchietti, paguri, formiche giganti, lucertoline e lucertolone.
I colori del mare ci rapiscono; la prima cosa che penso è: ci mettono il colorante, non può essere il vero colore! Non provo neanche a descrivere le tonalità, perché i termini sminuirebbero la bellezza di quello specchio d’acqua. La sabbia è morbida, delicata, bianchissima. Siamo nel posto giusto. Palme e alberi imponenti ci fanno da ombrellone, non c’è neanche il ricordo dell’inquinamento, regna il silenzio, siamo a pochi metri da aironi, squaletti di barriera, anche due gattini bianchi deliziosi, al tramonto volteggiano i pipistrelli e penso che sia un mondo davvero meraviglioso. Questi animali sembrano mettersi in posa per le migliaia di foto che ogni anno tanti come noi porteranno a casa come ricordo, per nulla spaventati dalla presenza amica dell’uomo. Ma siamo ancora sopra l’acqua.
Come aveva scritto il compare di Laurina, qui il sole dà il meglio di sé: ci impomatiamo per benino, ma qualche piccolo angolo di scottatura ce l’abbiamo anche noi. Nei giorni a seguire la nostra vita scorrerà lenta e senza orologio tra lettura, riposo, bagni di mare e di sole, tramonti e contatto con la natura, fino a farci dimenticare il nostro mondo, il lavoro, i problemi e, non ultimi, scarpe chiuse e calzini :-). Boris, da bravo nuotatore, si allena circumnavigando l’isola, io passeggio con lo squaletto di barriera che mi scorta lungo il lato ovest dell’isola; un giorno, al tramonto, si spiaggia un tonnetto, ingordo, inseguendo i pescetti da frittura che sostano lungo la riva; un’ardimentosa ospite romagnola l’ha preso e rimesso in acqua con grande emozione di tutti. Ho fatto lo stesso anch’io diverse volte, con i pesciolini di cui sopra, che saltavano verso il bagnasciuga dopo l’incursione di un tonno o di uno squaletto, fino a non riuscire a tornare in acqua. Li ho spinti delicatamente fino all’acqua, anche se continuo a pensare che siano adattissimi alla frittura...
Il sole ci ha accompagnati per 8 giorni di fila, insieme ad una brezza leggera. Di notte, per 5 giorni, la luna piena illuminava a giorno spiaggia e mare, mentre gli ultimi 2 giorni ha lasciato il posto ad un cielo stellato illimitato e inafferrabile.
Intanto la receptionist svizzera ci segue da lontano: forse temeva che prima o poi ci saremmo rivoltati per la sistemazione che, effettivamente, li ha salvati da un bel pasticcio; ci chiede se va bene la stanza in cui siamo, decidiamo di restarci per tre notti e di aspettare che si liberi una stanza sul lato ovest. Parlando con degli ospiti romagnoli, che avevano fatto una crociera e poi qualche giorno di relax a Biyadoo, veniamo a sapere che anche a loro e a tutti gli altri partecipanti alla crociera destinati a Biyadoo era stato proposto di cambiare isola per un altro resort 4 stelle e che tanti turisti avevano accettato, mentre loro avevano insistito per Biyadoo. Capiamo, insomma, che accettando la sistemazione nel bunker, li abbiamo salvati da un bel guaio con l’overbooking…
La receptionist ribadisce che non vedono l’ora di offrirci una cena a lume di candela sulla spiaggia, di prenotarla quando vogliamo e che hanno anche pensato di offrirci una escursione a nostra scelta, sempre per il disagio. Noi avevamo già scritto il nostro nome sulla lista dei partecipanti al picnic sull’isola deserta, ma purtroppo non si è mai raggiunto il numero minimo di partecipanti e non ci siamo andati. Inoltre, la receptionist vuole capire le nostre intenzioni per la partenza e ci prospetta la possibilità di partire alle 11 di sera per l’ultimo giorno, visto che abbiamo l’aereo alle 2 di notte, se il tempo lo permette. Bella notizia: per noi vuol dire una giornata intera di paradiso in più!
Quanto alla cena, è stata carina, luna piena, il vino non era un granché, ma l’aragosta era deliziosa.
SNORKELING: prendiamo l’attrezzatura e partiamo per un primo snorkeling mattutino il secondo giorno. La barriera ci trova arrendevoli davanti alle sue bellezze e ci contagia la maldivite in modo irrimediabile. Seguiamo le istruzioni – perfette – di Paolo, compare di Laurina, nostro nume tutelare, e ci dedichiamo ad uno spettacolo degno dei migliori documentari e del mondo di Nemo. A volte chiudo gli occhi e li riapro all’improvviso per farmi sorprendere come fosse la prima volta dal fascino di questo mondo “subacqueo”, si fa per dire, perché siamo a pelo d’acqua, in acque in cui anche un bambino potrebbe partecipare a questa battuta di snorkeling.
Mi sembra una sfilata di moda: si va dal classico grigio dei pesci unicorno (uno di essi ogni volta mi si affianca e sembra scortarmi per metri e metri nel fantastico mondo di Nemo), all’intramontabile nero bordato di bianco di elegantissimi pesciolini balestra, ai colori moda viola e giallo dei pesci chirurgo, poi si torna al bianco e nero puntato di giallo con il pesce pagliaccio di Clark e, con gli stessi colori, al musetto altezzoso dei pesci farfalla filamentosi e dell’idolo moresco – i nomi li scopro adesso, dal sito, lì per lì io e Boris li chiamavamo con nomi di fantasia per capirci – spuntavano tenerissimi i piccoli pesci clown come Nemo, ogni tanto appare un pesce balestra pagliaccio, più imponente, con il suo stile animalier. Vediamo che il giallo è di gran moda, accecante nella sua versione del pesce farfalla di Bennett, del pesce farfalla dalla lacrima, del pesce farfalla a muso lungo. Va molto anche lo stile optical del grugnitore orientale: bianco, nero e giallo e i colori del pesce angelo orientale, decisamente più estivi e vivaci.
Infatti non dimentichiamo che è estate, qui, e con i suoi mille colori flash i pesci pappagallo e i tordi, grandi e piccoli, punteggiano la barriera e, se trattieni il respiro, senti anche che la rosicchiano con i dentini (-ini???)… se ti prendono…
Poi la barriera cede il passo al blu dipinto di blu. Un blu mai visto prima, né in natura, né prodotto dalla chimica. Compare anche una murena, scura, viola e marrone, un metro, un metro e mezzo, sul fondo, e schiere e schiere di tonnetti dalle sfumature fosforescenti, tanti pesci unicorno, una stella marina piccola e rossa, poi frotte di decine e decine di pesci chirurgo pentastriato (giallo pallido e nero): ma c’è una festa? Sono tantissimi! Come le indossatrici, alcuni sembrano sorriderti, altri ti guardano indifferenti e ti evitano. E’ uno spettacolo. Decidiamo che dobbiamo procurarci una macchina fotografica subacquea per i giorni seguenti. Per curare la maldivite quando saremo in Europa.
Nel ritornare a riva, gli ultimi pesciolini a strisce bianche e nere ti annunciano che la barriera è alle tue spalle, tra un po’ puoi togliere le pinne e tornare al sole.
CIBO: Ovviamente non si mangia come in Italia, ma non siamo morti di fame, anzi. Ci sono sempre insalate miste già pronte e componibili, riso basmati bianco e condito in vario modo, pesce – solo tonno - e carne – pollo, in genere - pasta (non assaggiata), contorni di verdura cotta, frutta (mi aspettavo di meglio, invece solo ananas, anguria, mele, arance) e dolci molto buoni. Direi che la cosa più buona, per una golosa come me, sono stati i dolci. Sono molto bravi a fare i dolci della tradizione anglosassone e, in generale, abbiamo sempre concluso i nostri pasti con un dolcetto. Insomma, è tutto un po’ speziato, ma si mangia bene. Ogni tanto, con un piccolo supplemento, è possibile mangiare una grigliata di pesce.
CAMERE: tralascio la descrizione della prima stanza di ripiego; al terzo giorno ci trasferiscono nella stanza 70, piano terra, lato laguna. Ha un leggero odore di muffa, è vero, meriterebbe una ristrutturazione, ma per il tempo che abbiamo trascorso in camera è stato un particolare trascurabile.
I giorni passano lenti e veloci al tempo stesso: arriva il penultimo giorno e ci comunicano che partiremo alle 11 di sera alla volta di Male e che ci lasciano la stanza fino all’ultimo, senza supplementi (si sentono ancora in colpa per l’overbooking…).
E’ il 4 marzo: ci rimettiamo le scarpe chiuse, i piedi si ribellano, il nostro cuore anche. Alle 11 di sera salpiamo alla volta di Male per tornare a casa, sotto le luci del molo e i pesci nel loro solito festino notturno al dock night club. Torniamo a casa… Ma la nostra casa, per 8 giorni, è stata Biyadoo. E ci lasciamo un pezzo di cuore. Non so se ci torneremo, perché in genere non torniamo mai due volte nello stesso luogo, c’è tanto mondo da vedere… Tuttavia, abbiamo lasciato una lacrimuccia in quel mare, spero di andarla a riprendere un giorno.