- 18/03/2008 laurina scrony
L’ ISOLA
Ti compare sull’orizzonte, piccola macchia verde, e mentre i motori della barca ronfano solidi a 3000 giri l’uno per portartici in fretta in fretta, eccola, prende forma, la forma che hai visto sui depliant.
Scendi, e sei in una vegetazione primordiale, primigenia. Gli odori sono dolci, diffusi, come in una profumeria di bassa lega dove si abbonda per stordire. Alberi e palme che arrivano sul mare, e con l’alta marea ci si fondono, le onde li lambiscono. radici che piovono dai rami alti sei sette metri, in propaggini ridondanti. Il nuovo nasce dal vecchio, e nuovi getti su alberi che appaiono secchi, virgulti spuntano dai frutti caduti e lì lasciati.
E pensare che abbiamo perso tutto questo per una sola mela!
Un uccello ruba il calzino lasciato al sole da una coppia di tedeschi, qui accanto a me, e lo lascia più in là, tra i sentieri che attraversano la boscaglia. Gli spiego a stento quello che è successo, quando tornano dalla loro camera che sta appena più là, e corrono al recupero. Poi ci riflettono: ha ragione l’uccello. Ci ricorda che siamo ospiti. E lasciano i calzini lì, su un vecchio legno, perché possa diventare nido.
IL RESORT
Semplice, pulito, essenziale, senza animazione. Non è quello che è nei sogni di molti, non ci sono bungalow col mare che ti scorre sotto, non ci sono ragazzotti sempre sorridenti dall’accento milanese in ogni luogo a ricordarti che sei in vacanza. Le stanze sono in blocchi a due piani, spersi nella vegetazione. Ti affacci e vedi il mare, tra le palme che ti circondano.
La dotazione di asciugamani da bagno è anch’essa essenziale, ma viene cambiata comunque tutta ogni mattina. Mi sembra uno spreco, ma invano ripiego sul loro sostegno gli asciugamani usati una volta sola. I teli da mare li trovi in stanza, e li cambiano invece la sera. Sì, le strutture avrebbero bisogno di un rinnovamento radicale, soprattutto in tanti particolari che trovi sparsi nell’isola e che non hanno più senso, così abbandonati. Ma per lavoro, ho dormito in Italia in alberghi a tre stelle decisamente peggiori e più cari.
Le prese elettriche sono a passo inglese, e pure un po’ scalcagnate, non ho trovato adattatori, ma neppure li ho chiesti. La stanza è grande, anche il bagno. L’acqua del lavabo è a una sola temperatura, quella giusta, nella doccia c’è uno scaldino elettrico che farebbe impallidire un nostro elettricista, ma funziona egregiamente: è un’ impiantistica tipicamente anglosassone, almeno qui c’è la scusa che non stanno in Europa.
Il terrazzino è piccolo, sufficiente per leggere, ma solo di giorno, perché l’illuminazione, di sera, è troppo fioca. Almeno per me che vedo male al buio e benissimo col sole a picco. Non abbiamo capito come funziona il climatizzatore, elettrodomestico per noi ostico, ma c’è e va.
Il personale è discreto e gentile. Di una gentilezza che da noi si trova pari solo se aggiungi due stelle.
DENARO E MONETE
L’unico contante che serve è quello per le mance, e vanno bene sia dollari che euro, a questo scopo. Tutto nel resort, comprese le spese al piccolo negozio, possono essere segnate in conto e liquidate alla fine, quando puoi ricordarti di avere una carta di credito (Amex, Visa, Mastercard). Il conto finale, volendo, può essere saldato anche in contanti, dollari o euro, ma il cambio col dollaro è più sfavorevole, in questo caso.
Per le compere al villaggio locale (escursione a pagamento), è bene portare contanti, ma accettano comunque anche gli euro e qualcuno anche le carte di credito...
... beh, non proprio tutti!
Alla reception, per ogni esigenza, si può cambiare valuta, a tassi di cambio che vengono aggiornati ogni fase lunare o giù di lì.
La moneta locale è la rupia, ma non ne ho vista neppure una come è fatta.
RISTORANTE
Lo chef è simpaticissimo, e si comporta da vero cuoco: ti sorride, capisce che lingua parli, e ti accompagna alle pietanze, spiegandotele in una lingua che lui reputa sia la tua. Il tutto, a tre stelle, non a cinque: mancano solo le pacche sulle spalle. La cucina è buona, anche se non molto varia, e ha soddisfatto anche uno come me, molto esigente ma pragmatico. Ci sono influssi internazionali (leggi “porcheriuole”) ormai obbligatori, come le uova fritte alle otto del mattino. I succhi di frutta, peccato!, sono industriali, come le marmellate, roba da supermercato, ma non posso raccontarvi cosa accade dietro le quinte di certi cinque stelle italiani…
Bene il te, buon sostituto per chi non usa latte animale a colazione. Buoni pane, focacce e i semplici “cake”. Frutta non abbondante per scelta, banane e ananas sono ok, quella sciroppata lasciatela ai tedeschi e agli amanti del genere. Buone le salsette acide, una somiglia al tahin, una è una semplice salsa rosa ma la più gettonata è quella con aglio, non molto dissimile dallo tzatziki greco. Legano bene con pesce e riso, anche questi sempre presenti in almeno due varietà. Non so dirvi della carne, perché la mangio raramente e solo se ne conosco dettagliatamente provenienza e preparazione (vivo in Toscana e ho clienti in Val di Chiana…). Per gli inconsolabili, la pasta, che è decisamente meno scotta di quella che fa mia cognata, mentre vale la regola mondiale che, anche dove le spezie riescono ad inondare ogni cosa, l’Arrabbiata è senza peperoncino. Insomma, siamo ad un livello più che accettabile, anche se a Terranuova Bracciolini ne ho mangiata di meglio...
Dessert semplici oppure per americani. Le creme sono quasi tutte a base di semola, e non lasciatevi ingannare dall’aspetto: non conoscono la Chantilly. Buoni invece il pan di spagna e impasti affini. Una volta hanno servito un lontano parente del babà, con frutta… (il “babaodoo”???) che era niente male.
La carta dei vini ci ricorda che siamo in un paese islamico: gli onnipresenti Dom Perignon e Moet, che non sono più quelli di quando James Bond lo faceva Sean Connery, e lo trovate a molto meno alla Coop sotto casa. Ci sono un bianco ed un rosso italiani, di bassa lega. Evito gli australiani da quando ho avuto preoccupanti indiscrezioni sulle loro tecniche di vendemmia. Ho bevuto un passabile sauvignon sudafricano ad un prezzo onesto. Per i nostalgici, il Mateus Rosé rimane ancora un buon prodotto industriale, al costo di 25$ al tavolo, servito come fosse un gran cru da un ragazzo che, certamente, non l’ha mai neppure assaggiato, ma gli hanno detto che si fa così, e non sbaglia di un pelo. Certo, non è il massimo della scelta, ma almeno ci risparmiamo lo strazio da noi obbligatorio del “vino della casa”, che spesso viene da dentro un tetrapack e si paga anche 4 euro a quartino...
BAR
Anche se siamo all’ombra delle moschee, ci sono cocktail e superalcolici canonici per posti simili. E infatti, a servirli, ragazzi non maldiviani, di altre religioni, perché per la pazienza di Maometto un Havana Club mi sembra un po’ troppo. Una godibile musica da red neck vi farà da placido sfondo a pigre serate a chiacchiera. Il venerdì, serata folkloristica, molto soft. Per la prima volta in vita mia, ho ballato, scoprendo che i balli tradizionali maldiviani mi vengono assolutamente spontanei, come quando sono proprio contento e dò mazzate involontarie al lampadario con le mani…Hanno anche una macchina da caffè a due manici, e l’Illy. Ma non lo sanno fare, e per due dollari e mezzo ti danno un espresso che “fete ‘e scarrafone”.
Naturalmente, essendo ospiti e non avventori di passaggio, al bar ci si può sedere e farsi i fatti propri anche senza consumare.
SVAGHI SERALI
C’è anche un altro bar, che dicono ci fanno pure la discoteca, ma io non l’homai visto né sentito: in una discoteca non ci sono mai entrato in vita mia, e non ripento i ciò, né sono venuto fino alla Maldive (sperdendomi in una truce notte a Dubai) per cercarne una.
Invece, il pontile principale fa meglio di Piero Angela, che ci fa sapere tutto sul leone di turno a inseguire la gazzella, ma ignora l’esistenza dei cefali mazzoni: le luci, attirano branchi di pesce di ogni genere e risma. Grossi muggini, carangidi, squalotti pinna nera, sardine (che, manco a dirlo, in questo gioco a guardia e ladri fanno la parte dei ladri…). Un airone controlla da riva e becca al volo i pescetti che saltano su, davanti alle ricciole. In testa al pontile, grossi dentici ogni tanto attaccano, e l’acqua schiuma di guissi. Sulla spiaggia, granchi che danzano, e i più piccoli dei pinna nera che quasi si arenano, lasciandosi spingere dalle onde.
Non c’è la tv satellitare che prende pure i canali italiani, ma anche se avessi potuto scegliere, io avrei comunque preferito venire qui, a leggere Neruda, scandendo i versi alla metrica delle onde che toccano perennemente riva.
MARE
Se non avete mai visto un fondale corallino con pesci che non temono l’uomo, l’impatto può essere scioccante. Un altro shock è la temperatura dell’acqua: a febbraio, quando pure nel Mar Rosso a sud dell’Egitto ci si immerge solo con la muta, la temperatura dell’acqua sui reef è intorno ai 30 °C (a occhio ho stimato tra i 29 e i 31), ma in certe lagune interne si arriva a qualcosa che dev’essere molto prossima ai 35 °C, qualcosa da cappelletti in brodo. E questo, per un freddoloso come me, ha del miracoloso.
I pesci, come detto, non temono la presenza umana, e si possono fare incontri ravvicinati del terzo tipo e oltre con bestie impensabili nei nostri mari, quali i tonni e dentici monumentali. Ricordatevi però che i pesci sono comunque animali selvatici, e ci vedono grandi come i predatori, quindi potenzialmente temibili: per osservare meglio o fotografare un animale, che oltretutto è nel suo ambiente e nuota decisamente meglio di noi, non pensate di corrergli dietro, che è il sistema migliore per indurlo alla fuga, ma avvicinatelo con traiettorie indirette, a spirale, e senza mai guardarlo direttamente se non quando è proprio vicino.
Per quanto stupido sembri, ma repetita iuvant, pesci e coralli non vanno toccati. Non solo perché possono essere urticanti, persino velenosi. Ma perché si tratta di organismi liberi, animali selvatici, per cui quello che a noi sembra un gesto di affetto, come una carezza, rappresenta invece una forma di aggressione, quando non un vero e proprio danno fisico al solo tocco.
A Biyadoo non ho trovato reef con i colori e le varietà quali ne ho visti a Marsa Alam, in Mar Rosso, ma qui le dimensioni sono spettacolari.
Il reef ad ovest, vicino alle stanze 50/70, nonostante la nebbia che piove dalla laguna, ha più colori. La spiaggia, qui, è spettacolare, con la sua vegetazione.
Invece, il reef che va dal pontile principale verso ovest (destra per chi guarda il mare), è il più spettacolare. Dettagli nella sezione “Snorkeling”.
Siamo in mezzo all’Oceano, all’equatore, con evaporazione elevata e nessuna immissione d’acqua dolce nei pressi: la salinità è molto elevata, ben più del pur salato Mediterraneo. Anche per solo nuotare, tralasciando per un momento lo snorkeling, mettere gli occhialini.
APNEA
Diretta conseguenza della salinità di cui parlo più su è che per immergersi c’è bisogno di una zavorra maggiore. Se la noleggiate al diving, e vi immergete con loro, suppongo avrete indicazioni in merito. Se vi immergete in apnea, e vi portate i vostri bravi mezzi chili, considerate circa 1kg in più su tre. Va detto che una muta leggera per i nostri mari, quale una 3mm, qui vi farà schiattare dal caldo. Io ho dovuto farne a meno. Con la muta e 3,5 kg (invece che 2,5 buoni all’Isola del Giglio), il punto di equilibrio idrostatico era a –14 invece che a –11. Senza muta né zavorra, a circa –20! Qui è uno dei pochi casi in cui si può usare una zavorra leggera anche senza muta, magari per fotografare. In quel caso, in alternativa alla solita cinta, che sulla pelle può risultare fastidiosa, si possono indossare ai polsi un paio di cavigliere da 500 gr l’una. Non alle caviglie, per non appesantire inutilmente la pinneggiata. Immergermi di nuovo a pelle nuda, come ai tempi che ero più giovane e “bestiale” è stato un bel ritorno alle origini. Ma, a differenza di Filicudi del 1980, ultima mia esperienza di “nude diving”, a Biyadoo toccavo il fondo e lo sentivo caldo, e non ho passato alcun termoclino fino a –30. Con acqua così calda, e senza cappuccio, compensare diventa uno scherzo. Pure per questo, agli apneisti consiglio di usare un profondimetro: la differenza di assetto, la trasparenza dell’acqua e la temperatura possono indurre all’errore, e ti trovi a –25 credendo di stare a –15. Sulla limpidezza, va detto che non ho trovato la stessa luce diffusa di Linosa, il cristallo delle Cicladi degli anni ’80, o di Ustica, ma comunque, anche col cielo coperto, si traguardavano bene fondali di 25 metri, e vedevi le ombre dei –30, e scusate se è poco!
Nonostante la temperatura, consiglio comunque di proteggersi con un mutino, che riparerà dal sole se c’è, dal placton, che ha qualcosa di urticante per uno allergico a tutto come me, da involontari contatti coi coralli. Anche nell’acqua a 30 °C, poi, se ci si sta ore di seguito, viene freddo. Se non avete un mutino e non pensate di acquistarne uno solo per una settimana di ferie, potete benissimo proteggervi con quello che avete in soffitta, purché sia aderente: fouseau, il costume da Diabolik, le mutande di lana dell’esercito, la maglietta della salute... fate un po’ voi.
SNORKELING
Un’osservazione di carattere generale: lo snorkeling va fatto lentamente, molto più lentamente di come di solito vedo fare, e a favore di corrente. I movimenti bruschi, lo sbattere convulso di pinne, le capovolte repentine, spaventano i pesci, sono poco efficaci e ci fanno consumare molto più ossigeno del necessario. Nuotando lentamente, in rilassatezza, spinti dalla corrente e controllando la respirazione, si sarà ben più pronti ad immergersi anche all’improvviso, per vedere da vicino qualcosa di interessante e inaspettato, evento ben comune in questi mari.
A Biyadoo la corrente fascia tutta l’isola. Entra dall’Oceano ed arriva più o meno nei pressi del cantiere delle barche, al vecchio pontile, dove si divide in due rami. Conviene iniziare da lì l’esplorazione: la bella spiaggetta a riva sarà il nostro Cape Canaveral.
Prima, però, scegliamoci il punto di arrivo: la spiaggia davanti al bar può essere un buon punto. Non è un caso che sia la più grande, perché proprio qui la corrente muore. Lasciamo qui in tutta tranquillità teli, creme solari e tutto il resto e si va a piedi, con pinne e maschera al seguito a “Cape Canaveral”. Appena in acqua, siamo in una piccola laguna poco profonda, che brulica di piccoli carangidi, muggini e tutto il repertorio comprese alcune grosse murene e polpi, tra lastroni di corallo e pezzi più piccoli spezzati dal mare. Nuotando a pelo d’acqua verso sinistra (in senso antiorario attorno l’isola), si esce a corrente e si prende la “circolare sinistra”: senza muovere pinna, si va. Il fondo ha subito una bella caduta da –15 a –25 circa, e si possono incontrare napoleoni, tartarughe, l’ aquila di mare e grossi dentici. Proseguendo, il reef si fa verticale, con una caduta netta che, nei pressi del pontile di sbarco principale, raggiunge i –28. Qui stanziano due grosse cernie, che girano sui –20, quota dove inizia una bella selva di coralli neri simili alle nostre gorgonie. Dal blu, vengono carangidi di ogni misura, ed anche tonni. A parete, aragoste, ancora murene, cerniotte, e a mezz’acqua frotte di sardine. Proprio sotto la boa ancorata appena prima del pontile, seguendo il nostro giro, tra –28 e –30 pascola un branco di grossi pesce pappagallo. Da sopra si intuiscono appena: chi può, scenda in mezzo a loro, perché sono bellissimi. Ancora più avanti, una cavità nella parete, piena di avannotti, e, a mezz’acqua, tra gli 8 e i 10 m, enormi dentici.
Uscendo invece verso destra, più vicini allo scivolo di alaggio, si è subito presi dalla corrente “circolare destra”, ed ha una forza non contrastabile. Si sorvolano le macerie della testa del vecchio pontile, dove alloggiano grosse cernie, si incontra facilmente un napoleone che nuota con una ricciola, e tartarughe. La corrente si smorza all’inizio della spiaggia, e placidamente si nuota tra dentici, pesci palla, grossi e riottosi balestra. Il pendio si fa breve, il fondo si alza fino a circa –15, e si può trovare nebbia per la sabbia che viene dalla bassa laguna interna, tra correnti calde. Bellissimi “funghi” di corallo nascondono cernie e mille pesci colorati di ogni misura, già a un paio di metri dal pelo dell’acqua.
SOLE: GEOGRAFIA ASTRONOMICA
Le Maldive sono quasi all’Equatore. Biyadoo, per precisione, è a circa 3°55’ latitudine Nord. Il tropico del Cancro, è 20 paralleli più a nord. 20 paralleli sono quelli che separano Siena dal Tropico e Genova da Reykjavik. Signori, qui non siamo “ai tropici”: qui il Sole dà il massimo di sé su questo pianeta. Alle nostre latitudini non arriva mai neppure vicino allo zenit. Al tropico ci arriva solo una volta l’anno, al solstizio. A Biyadoo quasi tutti i giorni. Non è solo la punta massima d’irraggiamento ad essere notevolmente superiore, ma anche la quantità totale di energia solare che ogni giorno l’astro butta su ogni centimetro di terra (e di pelle).
Personalmente sono abituato al sole, sono un uomo del sud, vivo vicino al mare, conservo un po’ di abbronzatura tutto l’anno, e posso stare ore al solstizio di Pantelleria con protezioni blande. A Biyadoo ho usato la protezione 50, ma, soprattutto, mi sono concesso un doppio trattamento doposole. Il primo con aloe, il secondo con un doposole di erboristeria dell’arsenale di Laurina. Probabilmente, con un 30 o un 20, a fine settimana, sarei stato bene lo stesso. Avevo fatto un ciclo preventivo di integratori per favorire l’abbronzatura spontanea, ma non faccio lampade perché costano e non mi piace l’idea di mettermi in una specie di microonde... Solari così drastici nel filtro devono essere di qualità assoluta. Rappresentano una frazione trascurabile del costo della vacanza, e salvano la tranquillità.
Ma non ho mai usato altro oltre il costume per coprirmi mentre nuotavo, anche a mezzoggiorno. Ogni tanto, sonnecchiavo all’ombra, leggevo un libro, scrivevo questi appunti... that’s life.
Non sono di quelli che vede nell’uso di creme e oli una limitazione alla libertà di vacanza: il piacere di curarsi la pelle con oli e misture salubri è vecchio di millenni, ne parla già Omero, e spalmarselo vicendevolmente fa parte di quelle piccole piacevoli innocenti manifestazioni di affetto tra due esseri umani. E poi, ho quasi cinquant’anni, non somiglio ad una tartaruga nonostante le dosi industriali di sole che ho preso in vita mia da quando sono nato, e non voglio incartapecorirmi proprio adesso.
ABBIGLIAMENTO, USI E COSTUMI
I maldiviani (si chiamano così?) sono gente molto ospitale, semplice e ben disposta. A Biyadoo l’ambiente è molto informale, poco si presta alle passerelle di moda e allo sfoggio. Come tutti sanno, alle Maldive sono vietati topless e nudismo. E per rispetto a questo popolo semplice e sincero, sarebbe pure il caso di evitare quegli slip da bagno “natiche on the air” in spiaggia e le tenute da vamp con minigonne ascellari e scollature all’ombellico al ristorante. Tenute che spesso sconfinano nel cattivo gusto anche da noi, ma fanno ormai parte del nostro costume, del nostro grado di sopportazione. Ma non di quello delle Maldive. Non solo perché la religione è musulmana, ma semplicemente perché non c’è stata la stessa evoluzione culturale. Come in molte altre parti del pianeta umano, qui si è passati da un modello sociale e culturale pressoché primordiale a internet ed al telefonino. Senza passare per Galileo, per il Rinascimento, la Riforma, per Voltaire e un paio di rivoluzioni, Woodstock e Bob Kennedy, il 68 e il 77, e con l’unica intercessione della religione musulmana. Che, proprio per questo, viene presa più sul serio di quanto da noi si faccia adesso col cattolicesimo. Senza dimenticare che anche da noi fino ad un paio di decenni fa, le stesse “tenute” sarebbero state impensabili, mia madre doveva cambiarsi in macchina e infilare la gonna invece dei pantaloni (lunghi, e non gli shorts!) per visitare la chiesa di San Francesco, e sulle spiagge di Ischia un topless faceva scalpore fino alla metà degli anni ’80.
Rispettiamo perciò questo popolo pacifico e tollerante, rispettiamo il loro mondo, la loro epoca, la loro cultura: non sono certo che la nostra sia migliore.
EPILOGO
Sì, credo che sia da queste parti. E se non è qua, deve essere in un posto come questo e in tutto simile. Con le stesse palme che scendono lente a bagnarsi nell’Oceano spento dal reef laggiù lontano, dove bianca impercettibile schiuma suggella l’orizzonte. Con la stessa acqua di mare limpida e calda che non nasconde i suoi pesci, ma te li porta come alfieri dello stesso sigillo smarrito. E sei su un’isola. Perché non può essere che su un’isola, che un giorno si è perso, e da allora conservato.
Certo, ogni investitura, ogni salvazione, ogni nuovo Graal profano va meritato. “Dimmi, cavaliere, sei tu pronto a ricevere quanto ti sta per esser svelato?”
E io, ancora sperso, non ebbi fiato per replicare a quella voce che giungeva da chissà quale altra cabina di comando.
“Sei tu pronto ad una nuova veglia d’armi? Ad incontrare genti sconosciute che nulla sanno di te? Bada! Dovrai conquistarla, quell’ospitalità! E stai attento a tutti i segni!”
E così fu. Solo dopo una notte d’incertezza e fuga [vedi: Maldive da dimenticare – Lamentele – Ritardo Eurofly ] potei ritrovare le tracce della mia ricerca.
E ora, figlio incerto dell’alba diuturna che segna il mio eterno tornare senza ritorno verso da dove non sono più io che son partito, non saprei più dirtelo con precisione. Non saprei disegnarti la traccia netta di quale laguna, di quale bagnasciuga mutante con le maree, del corallo dove l’onda del Fiume Oceano si rompe e diventa schiuma d’orizzonte. Ma è lì, ti dico, è lì e non altrove. O in un posto esattamente come quello, benché le antenne che forano la notte e il rumore di chissà quale diesel ogni tanto appaiano per piegare un destino da mille e mille anni scritto, senza scalfirne però le tracce indelebili ma ormai quasi invisibili ai soli occhi di uomo.
E’ lì, o in un posto proprio come quello, e lo vedo anche più forte ora che sono tornato e non sono riuscito neppure stavolta a toccarla di nuovo. E’ lì, non altrove, che si trova l’immagine della mia anima tremula, la mia sorte inenarrabile di marinaio scampato all’ultimo viaggio di Ulisse, ad una nave impietrita per troppa pietà del ritorno.
Ti compare sull’orizzonte, piccola macchia verde, e mentre i motori della barca ronfano solidi a 3000 giri l’uno per portartici in fretta in fretta, eccola, prende forma, la forma che hai visto sui depliant.
Scendi, e sei in una vegetazione primordiale, primigenia. Gli odori sono dolci, diffusi, come in una profumeria di bassa lega dove si abbonda per stordire. Alberi e palme che arrivano sul mare, e con l’alta marea ci si fondono, le onde li lambiscono. radici che piovono dai rami alti sei sette metri, in propaggini ridondanti. Il nuovo nasce dal vecchio, e nuovi getti su alberi che appaiono secchi, virgulti spuntano dai frutti caduti e lì lasciati.
E pensare che abbiamo perso tutto questo per una sola mela!
Un uccello ruba il calzino lasciato al sole da una coppia di tedeschi, qui accanto a me, e lo lascia più in là, tra i sentieri che attraversano la boscaglia. Gli spiego a stento quello che è successo, quando tornano dalla loro camera che sta appena più là, e corrono al recupero. Poi ci riflettono: ha ragione l’uccello. Ci ricorda che siamo ospiti. E lasciano i calzini lì, su un vecchio legno, perché possa diventare nido.
IL RESORT
Semplice, pulito, essenziale, senza animazione. Non è quello che è nei sogni di molti, non ci sono bungalow col mare che ti scorre sotto, non ci sono ragazzotti sempre sorridenti dall’accento milanese in ogni luogo a ricordarti che sei in vacanza. Le stanze sono in blocchi a due piani, spersi nella vegetazione. Ti affacci e vedi il mare, tra le palme che ti circondano.
La dotazione di asciugamani da bagno è anch’essa essenziale, ma viene cambiata comunque tutta ogni mattina. Mi sembra uno spreco, ma invano ripiego sul loro sostegno gli asciugamani usati una volta sola. I teli da mare li trovi in stanza, e li cambiano invece la sera. Sì, le strutture avrebbero bisogno di un rinnovamento radicale, soprattutto in tanti particolari che trovi sparsi nell’isola e che non hanno più senso, così abbandonati. Ma per lavoro, ho dormito in Italia in alberghi a tre stelle decisamente peggiori e più cari.
Le prese elettriche sono a passo inglese, e pure un po’ scalcagnate, non ho trovato adattatori, ma neppure li ho chiesti. La stanza è grande, anche il bagno. L’acqua del lavabo è a una sola temperatura, quella giusta, nella doccia c’è uno scaldino elettrico che farebbe impallidire un nostro elettricista, ma funziona egregiamente: è un’ impiantistica tipicamente anglosassone, almeno qui c’è la scusa che non stanno in Europa.
Il terrazzino è piccolo, sufficiente per leggere, ma solo di giorno, perché l’illuminazione, di sera, è troppo fioca. Almeno per me che vedo male al buio e benissimo col sole a picco. Non abbiamo capito come funziona il climatizzatore, elettrodomestico per noi ostico, ma c’è e va.
Il personale è discreto e gentile. Di una gentilezza che da noi si trova pari solo se aggiungi due stelle.
DENARO E MONETE
L’unico contante che serve è quello per le mance, e vanno bene sia dollari che euro, a questo scopo. Tutto nel resort, comprese le spese al piccolo negozio, possono essere segnate in conto e liquidate alla fine, quando puoi ricordarti di avere una carta di credito (Amex, Visa, Mastercard). Il conto finale, volendo, può essere saldato anche in contanti, dollari o euro, ma il cambio col dollaro è più sfavorevole, in questo caso.
Per le compere al villaggio locale (escursione a pagamento), è bene portare contanti, ma accettano comunque anche gli euro e qualcuno anche le carte di credito...
... beh, non proprio tutti!
Alla reception, per ogni esigenza, si può cambiare valuta, a tassi di cambio che vengono aggiornati ogni fase lunare o giù di lì.
La moneta locale è la rupia, ma non ne ho vista neppure una come è fatta.
RISTORANTE
Lo chef è simpaticissimo, e si comporta da vero cuoco: ti sorride, capisce che lingua parli, e ti accompagna alle pietanze, spiegandotele in una lingua che lui reputa sia la tua. Il tutto, a tre stelle, non a cinque: mancano solo le pacche sulle spalle. La cucina è buona, anche se non molto varia, e ha soddisfatto anche uno come me, molto esigente ma pragmatico. Ci sono influssi internazionali (leggi “porcheriuole”) ormai obbligatori, come le uova fritte alle otto del mattino. I succhi di frutta, peccato!, sono industriali, come le marmellate, roba da supermercato, ma non posso raccontarvi cosa accade dietro le quinte di certi cinque stelle italiani…
Bene il te, buon sostituto per chi non usa latte animale a colazione. Buoni pane, focacce e i semplici “cake”. Frutta non abbondante per scelta, banane e ananas sono ok, quella sciroppata lasciatela ai tedeschi e agli amanti del genere. Buone le salsette acide, una somiglia al tahin, una è una semplice salsa rosa ma la più gettonata è quella con aglio, non molto dissimile dallo tzatziki greco. Legano bene con pesce e riso, anche questi sempre presenti in almeno due varietà. Non so dirvi della carne, perché la mangio raramente e solo se ne conosco dettagliatamente provenienza e preparazione (vivo in Toscana e ho clienti in Val di Chiana…). Per gli inconsolabili, la pasta, che è decisamente meno scotta di quella che fa mia cognata, mentre vale la regola mondiale che, anche dove le spezie riescono ad inondare ogni cosa, l’Arrabbiata è senza peperoncino. Insomma, siamo ad un livello più che accettabile, anche se a Terranuova Bracciolini ne ho mangiata di meglio...
Dessert semplici oppure per americani. Le creme sono quasi tutte a base di semola, e non lasciatevi ingannare dall’aspetto: non conoscono la Chantilly. Buoni invece il pan di spagna e impasti affini. Una volta hanno servito un lontano parente del babà, con frutta… (il “babaodoo”???) che era niente male.
La carta dei vini ci ricorda che siamo in un paese islamico: gli onnipresenti Dom Perignon e Moet, che non sono più quelli di quando James Bond lo faceva Sean Connery, e lo trovate a molto meno alla Coop sotto casa. Ci sono un bianco ed un rosso italiani, di bassa lega. Evito gli australiani da quando ho avuto preoccupanti indiscrezioni sulle loro tecniche di vendemmia. Ho bevuto un passabile sauvignon sudafricano ad un prezzo onesto. Per i nostalgici, il Mateus Rosé rimane ancora un buon prodotto industriale, al costo di 25$ al tavolo, servito come fosse un gran cru da un ragazzo che, certamente, non l’ha mai neppure assaggiato, ma gli hanno detto che si fa così, e non sbaglia di un pelo. Certo, non è il massimo della scelta, ma almeno ci risparmiamo lo strazio da noi obbligatorio del “vino della casa”, che spesso viene da dentro un tetrapack e si paga anche 4 euro a quartino...
BAR
Anche se siamo all’ombra delle moschee, ci sono cocktail e superalcolici canonici per posti simili. E infatti, a servirli, ragazzi non maldiviani, di altre religioni, perché per la pazienza di Maometto un Havana Club mi sembra un po’ troppo. Una godibile musica da red neck vi farà da placido sfondo a pigre serate a chiacchiera. Il venerdì, serata folkloristica, molto soft. Per la prima volta in vita mia, ho ballato, scoprendo che i balli tradizionali maldiviani mi vengono assolutamente spontanei, come quando sono proprio contento e dò mazzate involontarie al lampadario con le mani…Hanno anche una macchina da caffè a due manici, e l’Illy. Ma non lo sanno fare, e per due dollari e mezzo ti danno un espresso che “fete ‘e scarrafone”.
Naturalmente, essendo ospiti e non avventori di passaggio, al bar ci si può sedere e farsi i fatti propri anche senza consumare.
SVAGHI SERALI
C’è anche un altro bar, che dicono ci fanno pure la discoteca, ma io non l’homai visto né sentito: in una discoteca non ci sono mai entrato in vita mia, e non ripento i ciò, né sono venuto fino alla Maldive (sperdendomi in una truce notte a Dubai) per cercarne una.
Invece, il pontile principale fa meglio di Piero Angela, che ci fa sapere tutto sul leone di turno a inseguire la gazzella, ma ignora l’esistenza dei cefali mazzoni: le luci, attirano branchi di pesce di ogni genere e risma. Grossi muggini, carangidi, squalotti pinna nera, sardine (che, manco a dirlo, in questo gioco a guardia e ladri fanno la parte dei ladri…). Un airone controlla da riva e becca al volo i pescetti che saltano su, davanti alle ricciole. In testa al pontile, grossi dentici ogni tanto attaccano, e l’acqua schiuma di guissi. Sulla spiaggia, granchi che danzano, e i più piccoli dei pinna nera che quasi si arenano, lasciandosi spingere dalle onde.
Non c’è la tv satellitare che prende pure i canali italiani, ma anche se avessi potuto scegliere, io avrei comunque preferito venire qui, a leggere Neruda, scandendo i versi alla metrica delle onde che toccano perennemente riva.
MARE
Se non avete mai visto un fondale corallino con pesci che non temono l’uomo, l’impatto può essere scioccante. Un altro shock è la temperatura dell’acqua: a febbraio, quando pure nel Mar Rosso a sud dell’Egitto ci si immerge solo con la muta, la temperatura dell’acqua sui reef è intorno ai 30 °C (a occhio ho stimato tra i 29 e i 31), ma in certe lagune interne si arriva a qualcosa che dev’essere molto prossima ai 35 °C, qualcosa da cappelletti in brodo. E questo, per un freddoloso come me, ha del miracoloso.
I pesci, come detto, non temono la presenza umana, e si possono fare incontri ravvicinati del terzo tipo e oltre con bestie impensabili nei nostri mari, quali i tonni e dentici monumentali. Ricordatevi però che i pesci sono comunque animali selvatici, e ci vedono grandi come i predatori, quindi potenzialmente temibili: per osservare meglio o fotografare un animale, che oltretutto è nel suo ambiente e nuota decisamente meglio di noi, non pensate di corrergli dietro, che è il sistema migliore per indurlo alla fuga, ma avvicinatelo con traiettorie indirette, a spirale, e senza mai guardarlo direttamente se non quando è proprio vicino.
Per quanto stupido sembri, ma repetita iuvant, pesci e coralli non vanno toccati. Non solo perché possono essere urticanti, persino velenosi. Ma perché si tratta di organismi liberi, animali selvatici, per cui quello che a noi sembra un gesto di affetto, come una carezza, rappresenta invece una forma di aggressione, quando non un vero e proprio danno fisico al solo tocco.
A Biyadoo non ho trovato reef con i colori e le varietà quali ne ho visti a Marsa Alam, in Mar Rosso, ma qui le dimensioni sono spettacolari.
Il reef ad ovest, vicino alle stanze 50/70, nonostante la nebbia che piove dalla laguna, ha più colori. La spiaggia, qui, è spettacolare, con la sua vegetazione.
Invece, il reef che va dal pontile principale verso ovest (destra per chi guarda il mare), è il più spettacolare. Dettagli nella sezione “Snorkeling”.
Siamo in mezzo all’Oceano, all’equatore, con evaporazione elevata e nessuna immissione d’acqua dolce nei pressi: la salinità è molto elevata, ben più del pur salato Mediterraneo. Anche per solo nuotare, tralasciando per un momento lo snorkeling, mettere gli occhialini.
APNEA
Diretta conseguenza della salinità di cui parlo più su è che per immergersi c’è bisogno di una zavorra maggiore. Se la noleggiate al diving, e vi immergete con loro, suppongo avrete indicazioni in merito. Se vi immergete in apnea, e vi portate i vostri bravi mezzi chili, considerate circa 1kg in più su tre. Va detto che una muta leggera per i nostri mari, quale una 3mm, qui vi farà schiattare dal caldo. Io ho dovuto farne a meno. Con la muta e 3,5 kg (invece che 2,5 buoni all’Isola del Giglio), il punto di equilibrio idrostatico era a –14 invece che a –11. Senza muta né zavorra, a circa –20! Qui è uno dei pochi casi in cui si può usare una zavorra leggera anche senza muta, magari per fotografare. In quel caso, in alternativa alla solita cinta, che sulla pelle può risultare fastidiosa, si possono indossare ai polsi un paio di cavigliere da 500 gr l’una. Non alle caviglie, per non appesantire inutilmente la pinneggiata. Immergermi di nuovo a pelle nuda, come ai tempi che ero più giovane e “bestiale” è stato un bel ritorno alle origini. Ma, a differenza di Filicudi del 1980, ultima mia esperienza di “nude diving”, a Biyadoo toccavo il fondo e lo sentivo caldo, e non ho passato alcun termoclino fino a –30. Con acqua così calda, e senza cappuccio, compensare diventa uno scherzo. Pure per questo, agli apneisti consiglio di usare un profondimetro: la differenza di assetto, la trasparenza dell’acqua e la temperatura possono indurre all’errore, e ti trovi a –25 credendo di stare a –15. Sulla limpidezza, va detto che non ho trovato la stessa luce diffusa di Linosa, il cristallo delle Cicladi degli anni ’80, o di Ustica, ma comunque, anche col cielo coperto, si traguardavano bene fondali di 25 metri, e vedevi le ombre dei –30, e scusate se è poco!
Nonostante la temperatura, consiglio comunque di proteggersi con un mutino, che riparerà dal sole se c’è, dal placton, che ha qualcosa di urticante per uno allergico a tutto come me, da involontari contatti coi coralli. Anche nell’acqua a 30 °C, poi, se ci si sta ore di seguito, viene freddo. Se non avete un mutino e non pensate di acquistarne uno solo per una settimana di ferie, potete benissimo proteggervi con quello che avete in soffitta, purché sia aderente: fouseau, il costume da Diabolik, le mutande di lana dell’esercito, la maglietta della salute... fate un po’ voi.
SNORKELING
Un’osservazione di carattere generale: lo snorkeling va fatto lentamente, molto più lentamente di come di solito vedo fare, e a favore di corrente. I movimenti bruschi, lo sbattere convulso di pinne, le capovolte repentine, spaventano i pesci, sono poco efficaci e ci fanno consumare molto più ossigeno del necessario. Nuotando lentamente, in rilassatezza, spinti dalla corrente e controllando la respirazione, si sarà ben più pronti ad immergersi anche all’improvviso, per vedere da vicino qualcosa di interessante e inaspettato, evento ben comune in questi mari.
A Biyadoo la corrente fascia tutta l’isola. Entra dall’Oceano ed arriva più o meno nei pressi del cantiere delle barche, al vecchio pontile, dove si divide in due rami. Conviene iniziare da lì l’esplorazione: la bella spiaggetta a riva sarà il nostro Cape Canaveral.
Prima, però, scegliamoci il punto di arrivo: la spiaggia davanti al bar può essere un buon punto. Non è un caso che sia la più grande, perché proprio qui la corrente muore. Lasciamo qui in tutta tranquillità teli, creme solari e tutto il resto e si va a piedi, con pinne e maschera al seguito a “Cape Canaveral”. Appena in acqua, siamo in una piccola laguna poco profonda, che brulica di piccoli carangidi, muggini e tutto il repertorio comprese alcune grosse murene e polpi, tra lastroni di corallo e pezzi più piccoli spezzati dal mare. Nuotando a pelo d’acqua verso sinistra (in senso antiorario attorno l’isola), si esce a corrente e si prende la “circolare sinistra”: senza muovere pinna, si va. Il fondo ha subito una bella caduta da –15 a –25 circa, e si possono incontrare napoleoni, tartarughe, l’ aquila di mare e grossi dentici. Proseguendo, il reef si fa verticale, con una caduta netta che, nei pressi del pontile di sbarco principale, raggiunge i –28. Qui stanziano due grosse cernie, che girano sui –20, quota dove inizia una bella selva di coralli neri simili alle nostre gorgonie. Dal blu, vengono carangidi di ogni misura, ed anche tonni. A parete, aragoste, ancora murene, cerniotte, e a mezz’acqua frotte di sardine. Proprio sotto la boa ancorata appena prima del pontile, seguendo il nostro giro, tra –28 e –30 pascola un branco di grossi pesce pappagallo. Da sopra si intuiscono appena: chi può, scenda in mezzo a loro, perché sono bellissimi. Ancora più avanti, una cavità nella parete, piena di avannotti, e, a mezz’acqua, tra gli 8 e i 10 m, enormi dentici.
Uscendo invece verso destra, più vicini allo scivolo di alaggio, si è subito presi dalla corrente “circolare destra”, ed ha una forza non contrastabile. Si sorvolano le macerie della testa del vecchio pontile, dove alloggiano grosse cernie, si incontra facilmente un napoleone che nuota con una ricciola, e tartarughe. La corrente si smorza all’inizio della spiaggia, e placidamente si nuota tra dentici, pesci palla, grossi e riottosi balestra. Il pendio si fa breve, il fondo si alza fino a circa –15, e si può trovare nebbia per la sabbia che viene dalla bassa laguna interna, tra correnti calde. Bellissimi “funghi” di corallo nascondono cernie e mille pesci colorati di ogni misura, già a un paio di metri dal pelo dell’acqua.
SOLE: GEOGRAFIA ASTRONOMICA
Le Maldive sono quasi all’Equatore. Biyadoo, per precisione, è a circa 3°55’ latitudine Nord. Il tropico del Cancro, è 20 paralleli più a nord. 20 paralleli sono quelli che separano Siena dal Tropico e Genova da Reykjavik. Signori, qui non siamo “ai tropici”: qui il Sole dà il massimo di sé su questo pianeta. Alle nostre latitudini non arriva mai neppure vicino allo zenit. Al tropico ci arriva solo una volta l’anno, al solstizio. A Biyadoo quasi tutti i giorni. Non è solo la punta massima d’irraggiamento ad essere notevolmente superiore, ma anche la quantità totale di energia solare che ogni giorno l’astro butta su ogni centimetro di terra (e di pelle).
Personalmente sono abituato al sole, sono un uomo del sud, vivo vicino al mare, conservo un po’ di abbronzatura tutto l’anno, e posso stare ore al solstizio di Pantelleria con protezioni blande. A Biyadoo ho usato la protezione 50, ma, soprattutto, mi sono concesso un doppio trattamento doposole. Il primo con aloe, il secondo con un doposole di erboristeria dell’arsenale di Laurina. Probabilmente, con un 30 o un 20, a fine settimana, sarei stato bene lo stesso. Avevo fatto un ciclo preventivo di integratori per favorire l’abbronzatura spontanea, ma non faccio lampade perché costano e non mi piace l’idea di mettermi in una specie di microonde... Solari così drastici nel filtro devono essere di qualità assoluta. Rappresentano una frazione trascurabile del costo della vacanza, e salvano la tranquillità.
Ma non ho mai usato altro oltre il costume per coprirmi mentre nuotavo, anche a mezzoggiorno. Ogni tanto, sonnecchiavo all’ombra, leggevo un libro, scrivevo questi appunti... that’s life.
Non sono di quelli che vede nell’uso di creme e oli una limitazione alla libertà di vacanza: il piacere di curarsi la pelle con oli e misture salubri è vecchio di millenni, ne parla già Omero, e spalmarselo vicendevolmente fa parte di quelle piccole piacevoli innocenti manifestazioni di affetto tra due esseri umani. E poi, ho quasi cinquant’anni, non somiglio ad una tartaruga nonostante le dosi industriali di sole che ho preso in vita mia da quando sono nato, e non voglio incartapecorirmi proprio adesso.
ABBIGLIAMENTO, USI E COSTUMI
I maldiviani (si chiamano così?) sono gente molto ospitale, semplice e ben disposta. A Biyadoo l’ambiente è molto informale, poco si presta alle passerelle di moda e allo sfoggio. Come tutti sanno, alle Maldive sono vietati topless e nudismo. E per rispetto a questo popolo semplice e sincero, sarebbe pure il caso di evitare quegli slip da bagno “natiche on the air” in spiaggia e le tenute da vamp con minigonne ascellari e scollature all’ombellico al ristorante. Tenute che spesso sconfinano nel cattivo gusto anche da noi, ma fanno ormai parte del nostro costume, del nostro grado di sopportazione. Ma non di quello delle Maldive. Non solo perché la religione è musulmana, ma semplicemente perché non c’è stata la stessa evoluzione culturale. Come in molte altre parti del pianeta umano, qui si è passati da un modello sociale e culturale pressoché primordiale a internet ed al telefonino. Senza passare per Galileo, per il Rinascimento, la Riforma, per Voltaire e un paio di rivoluzioni, Woodstock e Bob Kennedy, il 68 e il 77, e con l’unica intercessione della religione musulmana. Che, proprio per questo, viene presa più sul serio di quanto da noi si faccia adesso col cattolicesimo. Senza dimenticare che anche da noi fino ad un paio di decenni fa, le stesse “tenute” sarebbero state impensabili, mia madre doveva cambiarsi in macchina e infilare la gonna invece dei pantaloni (lunghi, e non gli shorts!) per visitare la chiesa di San Francesco, e sulle spiagge di Ischia un topless faceva scalpore fino alla metà degli anni ’80.
Rispettiamo perciò questo popolo pacifico e tollerante, rispettiamo il loro mondo, la loro epoca, la loro cultura: non sono certo che la nostra sia migliore.
EPILOGO
Sì, credo che sia da queste parti. E se non è qua, deve essere in un posto come questo e in tutto simile. Con le stesse palme che scendono lente a bagnarsi nell’Oceano spento dal reef laggiù lontano, dove bianca impercettibile schiuma suggella l’orizzonte. Con la stessa acqua di mare limpida e calda che non nasconde i suoi pesci, ma te li porta come alfieri dello stesso sigillo smarrito. E sei su un’isola. Perché non può essere che su un’isola, che un giorno si è perso, e da allora conservato.
Certo, ogni investitura, ogni salvazione, ogni nuovo Graal profano va meritato. “Dimmi, cavaliere, sei tu pronto a ricevere quanto ti sta per esser svelato?”
E io, ancora sperso, non ebbi fiato per replicare a quella voce che giungeva da chissà quale altra cabina di comando.
“Sei tu pronto ad una nuova veglia d’armi? Ad incontrare genti sconosciute che nulla sanno di te? Bada! Dovrai conquistarla, quell’ospitalità! E stai attento a tutti i segni!”
E così fu. Solo dopo una notte d’incertezza e fuga [vedi: Maldive da dimenticare – Lamentele – Ritardo Eurofly ] potei ritrovare le tracce della mia ricerca.
E ora, figlio incerto dell’alba diuturna che segna il mio eterno tornare senza ritorno verso da dove non sono più io che son partito, non saprei più dirtelo con precisione. Non saprei disegnarti la traccia netta di quale laguna, di quale bagnasciuga mutante con le maree, del corallo dove l’onda del Fiume Oceano si rompe e diventa schiuma d’orizzonte. Ma è lì, ti dico, è lì e non altrove. O in un posto esattamente come quello, benché le antenne che forano la notte e il rumore di chissà quale diesel ogni tanto appaiano per piegare un destino da mille e mille anni scritto, senza scalfirne però le tracce indelebili ma ormai quasi invisibili ai soli occhi di uomo.
E’ lì, o in un posto proprio come quello, e lo vedo anche più forte ora che sono tornato e non sono riuscito neppure stavolta a toccarla di nuovo. E’ lì, non altrove, che si trova l’immagine della mia anima tremula, la mia sorte inenarrabile di marinaio scampato all’ultimo viaggio di Ulisse, ad una nave impietrita per troppa pietà del ritorno.